Descrizione
Nel corso dei secoli subì vari interventi.
Rimaneggiata nel 1530 con l'ampliamento del convento ed il rinnovo della facciata. Nel 1750 si ebbe la costruzione del campanile.
Negli anni 50", il vecchio Monastero delle Benedettine venne demolito, per far posto alla scuola elementare "San Giovanni Bosco", con il plesso San Secondo. Il monastero che accoglieva donzelle di nobile progenie, di Naro e della Comarca, in origine si divideva in due organismi: uno superiore, con ingresso in Largo San Secondo, edificio modesto nel progetto, con balconi in ferro battuto ed uno inferiore, in via Dante, complesso severo ed austero con finestre difese da fitte grate panciute in ferro, dove, accanto al portone d'ingresso, esisteva la "ruota della miseria", in cui venivano abbandonati molti bambini "indesiderati".
Dal plesso inferiore si poteva accedere al plesso superiore tramite una scala intagliata nella roccia (ancora esistente).
Del fasto antico resta solo un cantonale d'angolo (denominato Quarto Nobile) dalle poderose lesene e con balconi ornati di ricche mensole. L'ultima Badessa è stata Donna Antonina Gaetani (1824/1923), nobile naritana (a).
Rimaneggiata nel 1530, successivamente venne più volte rinnovata nei secoli XVI° e XVII°.
La facciata a duplice ordine, dei quali quello superiore in pietrame, mai ultimato, presenta in quello inferiore, che è il solo completo, ricchi e fasti intagli tufacei di gusto spagnolesco di mirabile effetto plastico coloristico e due nicchie con statue di S. Benedetto da Norcia, a sinistra e della sorella Santa Scolastica a destra, con le insegne abbaziali, fondatori dell'Ordine Benedettino, inquadrati da sei robuste paraste con piedritti e capitelli di ordine corinzio.
Tra una parasta e l'altra, nella parte superiore, sono inserite quattro finestre difese da fitte grate di ferro.
Il portale aggettante è inquadrato da colonne tortili aggiunti in pieno seicento ed è sovrastato da una elegante edicola. Il campanile, tozzo e massiccio, è del 1750, ma rimase incompleto.
Il nascente Barocco è riprodotto in elegante e sobrio stile, scevro da ogni esagerazione ed esprime grandiosità e fioriture d'ornati.
L'interno, ad una sola navata, presenta una larga spazialità, scandita da elementi decorativi alle pareti ed il rapporto pronao-aula è ben individuabile.
Mostra, infatti, una ricca decorazione di stucchi e di affreschi sebbene molti deteriorati. Gli affreschi della volta dovuti al pennello di Domenico Provenzani, con episodi della vita di San Benedetto e della sorella Scolastica, sono stati realizzati nel 1764.
In particolare nell'affresco centrale è dipinta la glorificazione di San Benedetto e del suo ordine monastico, nei due quadri minori della medesima volta l'artista palmense raffigurò San Benedetto che dà la regola ai suoi seguaci e "l'ascesa di San Benedetto".
Si possono ancora ammirare un sarcofago di porfido nero del 600", sostenuto da due leoni, che racchiude i resti di Giuseppe Lucchesi, Marchese di Delia, ispirato al sacello di Federico II°, nella cattedrale di Palermo, e l'altro, di marmo bianco, ancora legato a formule manieristiche, contenente le ceneri del figlio Assuero, morto a 18 anni, ultimo rampollo dei Duchi d'Alagona.
Ed, altresì, una Madonna del rosario, in marmo del 1498, posta nel primo altare a destra, detta comunemente la "Madonnina di Trapani", sec. XVI, un Crocifisso ligneo settecentesco con motivi classici e baroccheggianti, la statua settecentesca di San Benedetto di stile rococò e quella tardo cinquecentesca, d'ispirazione manieristica, di San Eligio (foto 38). La macchina dell'altare, in legno intagliato, è opera egregia di Giosuè Durando e Nicolò Bagnasco (1795).
Ed, ancora, in un'artistica teca, in legno e vetro, viene religiosamente conservato il corpo di San Torpedo, donato dalle autorità pontificie alle conventuali, per intercessione di Suor Maria Vincenza Andolina Gaetani, insigne letterata dello stesso convento (1632-1689). È da ammirare, altresì, sebbene molto deteriorata la "natività, ultimo quadrone esistente nella Chiesa, dei sei eseguiti nel 1735 dal P. Domenico Di Miceli, monaco-pittore del 700". Al convento è legato un grave episodio di sangue del 1411, all'epoca delle lotte fra la fazione latina e quella catalana.
Naro parteggiava per Bianca di Navarra, Vicaria del Regno di Sicilia, che tendeva all'indipendenza dell'Isola, dopo la morte di re Martino, il Vecchio (1410), favorendo l'avvento al trono di Fernando, Conte di Luna, figlio naturale di detto Martino.
Di contro, si opponeva Bennardo Cabrera, Conte di Modica, capo della fazione catalana, che non voleva la Sicilia staccata dalla Corona Aragonese.
Il Cabrera, a tradimento, nell'agosto del 1411 si impadronì del Castello di Naro, trucidò il castellano, Lopez Leon, saccheggiò la Città e fece seppellire viva l'innocente monaca Cannizzaro, badessa del convento, colpevole soltanto di essere la cugina del castellano Lopez Leòn (b).
Del fatto la regina Bianca diede l'annuncio ai fedeli feudatari del regno in un'accorata lettera, riportata nell'archivio storico siciliano dal barone Raffaele Starrabba (c), che è anche un documento della lingua siciliana illustre, che era, all'epoca, la lingua ufficiale della nostra Isola.
a) Maria Riolo Cutaja, Profili di Naritani, p. 350 e ss.
b) S,. Pitruzzella, Naro: arte, leggenda, archeologia, Palermo 1938, pag. 27 .
c) Saggio delle lettere del Vicariato della regina Bianca, pag. 47
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